Disciplina Botanica Redazione di Loris Paglia

Benvenuti Pregiatissimi Lettori in Disciplina Botanica redazione completamente gratuita del. Sign. Loris Paglia con informazioni di Botanica e sull' Istruzione di come si piantano diverse Tipologie di Piante

La Botanica ( dal Greco Bota'un) ( Botane ) e' la Disciplina della Biologia che studia le forme di vita del mondo vegetale ( La Flora ) Specie in Rapporto alla loro anatomia , Fisiologica , classificazione ed Ecologia

domenica 30 giugno 2013

AEG: il primo mattoncino della vita sulla Terra?

Gli scienziati sostengono da tempo che, prima del DNA, sia stato l'RNA l'acido nucleico fondamentale per la vita sul nostro Pianeta. Ma un nuovo studio getta un'ombra su quest'ultima ipotesi e un'altra molecola, chiamata AEG e molto presente nei cianobatteri, potrebbe essere alla base delle forme di vita primitive.
Il codice genetico delle prime forme di vita del nostro pianeta potrebbe essere stato racchiuso in una molecola diversa dal DNA. Prima del DNA (e anche dell'RNA) sarebbe stata un’altra molecola – la N-(2-aminoetil)glicina o AEG – a permettere agli organismi più arcaici di trasmettere alle generazioni successive informazioni genetiche. Un recente studio dimostra per la prima volta che l’AEG è diffusissimo nei cianobatteri, che sono guarda caso le forme di vita più primitive presenti sulla Terra.

Una coltura di cianobatteri cresciuti in laboratorio 
Codice genetico: quante sono le molecole della vita?
In principio era il DNA. Poi gli scienziati si sono accorti che la molecola di DNA era, chimicamente parlando, un po’ troppo complessa per essere stata la prima depositaria del codice genetico della vita sulla Terra. Sulla scorta di questi dubbi (ma anche di numerosi studi in materia), si è giunti quindi a formulare l’ipotesi del “mondo ad RNA”: una versione di vita ancestrale in cui a farla da padrone nella trasmissione delle informazioni genetiche erano molecole di RNA, anziché di DNA.
Sebbene l’acido nucleico RNA sia più semplice del cugino DNA, a ben guardare la differenza non è così drastica. Non abbastanza, almeno, per convincere gli scienziati che l’RNA sia davvero stata la prima molecola a racchiudere le informazioni del codice genetico.
Già all’inizio di quest’anno un gruppo di ricercatori della Arizona State University aveva suggerito che fosse stato l’acido treonucleico o TNA ad aver dato l'avvio alla vita sul nostro Pianeta circa tre miliardi e mezzo di anni fa,come avevamo già raccontato qui su Aulascienze. Il TNA rappresenta una forma molto semplice di acido nucleico, in cui lo scheletro di zuccheri è costituito da treosio (invece che da acido ribonucleico o desossiribonucleico, come avviene rispettivamente per l’RNA e il DNA). Nonostante la sua forma molto elementare, però, forse c’è stato qualcosa che ha preceduto il TNA stesso.
 
Un passo indietro nel tempo: c’era una volta l’AEG (e c'è anche adesso!)
Studiando i cianobatteri, i ricercatori si sono accorti che questi procarioti producono una molecola che i biochimici chiamano N-(2-aminoetil)glicina e tutti gli altri chiamano AEG. Questa molecola ha una peculiarità: può fare da “scheletro” per la formazione di acidi nucleici peptidici (o PNApeptidic nucleic acids). I PNA hanno una struttura polimerica molto simile a quella del DNA o dell’RNA, ma con una differenza fondamentale: mentre nel DNA e nell’RNA è la ripetizione di molecole di desossiribosio e ribosio a dare origine allo scheletro della molecola, nei PNA la struttura polimerica è data dalla ripetizione in sequenza di molecole di AEG, unite tra di loro da legami peptidici (gli stessi che formano le proteine). A questo scheletro peptidico si legano poi le basi azotate, sia purine che pirimidine.


Una molecola di PNA (peptidic nucleic acid): lo scheletro della molecola è costituito dalla sequenza di molecole di N-(2-aminoetil)glicina, detta anche AEG. I PNA non sono presenti in natura, ma la molecola di AEG è stata rinvenuta in molte specie di cianobatteri
 
Uno degli istituti di ricerca in cui è stato condotto lo studio, l’Institute for Ethnomedicine, si trova aJackson Hole, a pochi chilometri dal Parco di Yallowstone: qui si trovano tra le più vaste colonie di cianobatteri, la cui presenza contribusce al caratteristico colore di alcuni dei bacini d’acqua presenti nel parco.

Il Porcelain Basin del Parco Nazionale di Yellowstone: qui si trovano vaste colonie di cianobatteri. In particolare, la specie Phormidium è responsabile del caratteristico color ruggine che l'acqua assume in alcune zone del bacino.

AEG: una molecola con un grande passato e un brillante futuro?
In ambito farmacologico, la molecola AEG e i PNA sono una vecchia conoscenza: grazie alla loro capacità di legarsi al DNA in modo molto stabile, i ricercatori le studiano da tempo come potenziali inibitori dell’espressione di specifici geni. Tuttavia, fino ad ora nessuno era mai riuscito a dimostrare che questa molecola avesse un ruolo anche in natura. Grazie agli sforzi congiunti dei ricercatori statunitensi e svedesi, oggi sappiamo che questa molecola è in realtà molto diffusa: in natura la si può trovare in molti ceppi diversi di cianobatteri presenti in varie parti del mondo. Per chiarire in modo definitivo quale ruolo l’AEG abbia giocato nell’evoluzione del codice genetico, come sottolineato da Paul Alan Cox, lo scienziato a capo del team che ha condotto lo studio, «i dati a nostra disposizione sono ancora insufficienti». L’interesse delle case farmaceutiche per i polimeri sintetici di AEG rimane però alto e, nelle speranze di Cox, questo dovrebbe dare benzina alla ricerca di questo settore, portandoci negli anni a venire un po’ più vicini a capire se davvero l’AEG rappresenti uno dei più antichi “marchi di fabbrica” della vita sulla Terra.

La pianta intelligente

neurobiologia_vegetale_1
di Stefano Mancuso
Il LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) situato presso il Polo Scientifico dell’Università di Firenze è l’unico laboratorio al mondo che studia le piante come esseri dotati di capacità cognitive. L’approccio utilizzato dai ricercatori del LINV, dalla sua creazione nel 2005, prevede l’applicazione di numerose tecniche tipiche delle neuroscienze per studiare sensi, segnali e comportamenti delle piante. Il LINV, inoltre, svolge un continuo lavoro di divulgazione delle nuove conoscenze sul comportamento vegetale. Nel testo che segue quattro fondamentali concetti della biologia: comunicazioneintelligenza,movimento e sonno che solo fino a qualche anno fa si ritenevano patrimonio del solo regno animale, sono trattati in relazione al mondo vegetale. Un piccolo ma efficace esempio di come stiano rapidamente cambiando le nostre conoscenze sulla vita delle piante.
Comunicazione
Le piante sono delle grandi comunicatrici. Inviano messaggi in pratica a qualunque altro organismo vivente, da quelli più minuscoli come funghi e batteri fino ad arrivare ai mammiferi. Ovviamente comunicano molto anche fra loro. Le informazioni scambiate possono riguardare lo stato dell’ambiente che le circonda; la possibile presenza di attacchi patogeni, o possono essere avvisi di sconfinamento. Le piante, infatti, sono molto territoriali, non tollerano intrusioni, e reagiscono ad ogni “sconfinamento” in maniera decisa, dapprima con messaggi di attenzione e poi con vere e proprie rappresaglie chimiche
Per quanto riguarda gli strumenti attraverso i quali le piante comunicano essi sono principalmente molecole chimiche di natura gassosa, ma anche colori. Il colore dei fiori è fondamentalmente un segnale riguardante il fatto che il fiore è pronto a ricevere gli insetti necessari all’impollinazione e che, in cambio di questo favore, li ripagherà con del prezioso nutrimento zuccherino.
L’intero sistema dell’impollinazione è stato descritto come un mercato in cui ci sono prodotti (il polline ed il nettare), avvisi pubblicitari (il colore dei fiori o il loro profumo) e dei clienti (gli insetti impollinatori). Il differente colore dei fiori serve a pubblicizzare il prodotto verso i nuovi compratori e ad indicare ai clienti affezionati dove si trova il prodotto che stanno cercando. È interessante notare come in questo “mercato” esistano anche i truffatori, come le piante che  propagandano per mezzo dei colori un prodotto che invece non esiste.
Il comportamento “onesto”, infatti, dovrebbe essere quello di segnalare, attraverso i colori, la presenza di un fiore che richiede la presenza di un insetto impollinatore e di fornire come ricompensa del nettare. Ora alcune piante come il Lupinus nanus sono così “oneste” da cambiare addirittura il colore del fiore dopo che sono state impollinate, indicando con questo che non hanno più bisogno di manodopera. Altre, con attitudine alla falsificazione, producono fiori molto colorati, simili a quelli di altre piante “oneste”, attraendo l’insetto impollinatore ma non dando in cambio nulla per il servizio.
Altre volte la truffa è più raffinata, è il caso di molte orchidee le quali sono delle artiste nell’ingannare gli insetti. Non solo producono dei fiori che sono l’esatta riproduzione delle femmine dell’insetto impollinatore e che servono come esche per attrarre i maschi, ma producono, per rendere ancora più strabiliante la somiglianza, anche lo specifico feromone prodotto dalla femmina dell’insetto impollinatore. Insomma, una trappola perfetta.
Infine, fra le scoperte più recenti ed affascinanti che riguardano i segnali prodotti dalle piante, è assolutamente necessario citare la spettacolare colorazione delle foglie che alcuni alberi esibiscono durante l’autunno. Fino a pochi anni fa si riteneva che fosse un banale effetto collaterale della degradazione della clorofilla; commovente agli occhi di noi uomini, ma di nessuna utilità biologica. Si è scoperto invece che dietro questa colorazione c’è molto di più. Il primo sospetto che il fenomeno rappresentasse qualcosa di più complicato si era avuto con la scoperta che alcune specie investono importanti risorse nella produzione delle molecole necessarie a colorare le foglie. Ma perché investire risorse in qualcosa di così palesemente inutile? La risposta è arrivata dalla biologia evolutiva e dal paragone con altre specie viventi che mettono in atto strategie simili. Come quelle piccole gazzelle africane che alla vista di un leone iniziano a saltare sul posto, senza scappare. A prima vista anche questo sembrerebbe un comportamento inutile, uno spreco di energia. Invece ciò che le gazzelle fanno è, in realtà, di mandare un messaggio al leone sul loro buono stato di salute e forma. Un comportamento non dissimile da quello degli uomini che si affidano a “status symbol” per segnalare la loro forza. Lo stesso avviene per le piante con la colorazione autunnale. Durante l’autunno molte specie di afidi cercano degli alberi ospiti per deporre le larve e svernare. Gli alberi con la loro colorazione intensa trasmettono agli afidi un segnale di forza e vigore invitandoli a cercare un ospite meno ostico. Non è un caso che gli aceri, notoriamente molto suscettibili agli attacchi degli afidi, mostrino alcune fra le più straordinarie colorazioni autunnali.
neurobiologia_vegetale_2Intelligenza
Quando si parla d’intelligenza non è raro che persone intelligenti si lascino andare ad affermazioni molto stupide. È il caso del premio Nobel James Watson, leggendario scopritore della conformazione a doppia elica del DNA, il quale ha recentemente sostenuto, peraltro scusandosene subito dopo, che gli africani sarebbero meno intelligenti degli europei. È, questo, un esempio lampante di come anche scienziati importanti rimangono spesso preda dei pregiudizi, invece che lavorare per scongiurarli.
Così, fino a non molti anni fa era impossibile parlare d’intelligenza negli animali, senza essere scherniti. L’idea prevalente era che qualunque azione in un animale fosse una conseguenza esclusiva dei riflessi. Gli animali erano, in pratica, considerati soltanto delle macchine raffinate. C’è voluto Konrad Lorenz e la fondazione dell’etologia perché molti si ricredessero a questo riguardo. Dopo Lorenz, benché gli irriducibili esistano ancora, la questione non è più stata se vi fosse o meno intelligenza nel regno animale, quanto quali animali potessero essere considerati intelligenti. I primati, è ovvio, la scienza degli ultimi anni è piena di scimpanzé, gorilla ed altre scimmie in grado di compiere operazioni complesse. Kanzi, Lara, Panbanisha, solo per citarne alcune, sono scimmie celebri. Animali che possiedono un vocabolario di 500-600 parole, in grado di sostenere una conversazione sensata, e di affrontare con acume problemi di difficile risoluzione per un bambino di 6-7 anni. Ma ci sono anche cani come Rico, un collie che conosce 200 vocaboli e risolve problemi complessi e pappagalli come Alex, un pappagallo grigio, che conosce 50 vocaboli, oltre a forme, colori, numeri.
Insomma non è facile mettere una linea di demarcazione decidendo che da qui in poi inizia l’intelligenza. Molti ricercatori sono oggi inclini a sostenere che la capacità cognitiva sia in primo luogo un fenomeno biologico generale. Ne consegue che le piante, organismi, è bene ricordarlo, molto evoluti, non possono che essere considerate anch’esse, esseri dotati di capacità cognitive. Le straordinarie e complesse tecniche di sopravvivenza messe in atto dalle piante, i loro comportamenti sociali, le cure parentali verso i piccoli della specie, le strategie di difesa dagli attacchi patogeni, gli inganni e le illusioni adottate per attrarre gli impollinatori, la comunicazione complessa e articolata fra le piante, sono soltanto alcuni dei mille esempi che ne testimoniano le capacità cognitive.
neurobiologia_vegetale_3Movimento
Le piante si muovono moltissimo. Si potrebbe correttamente affermare che pur non avendo la possibilità di spostarsi si muovono senza sosta. Numerose specie vegetali generano movimenti veloci visibili, senza artifici, dall’occhio umano. Fra queste ricordiamo la Mimosa pudica, che reagisce al tocco chiudendo immediatamente le foglioline o alcune piante carnivore quali la Dionea muscipola, che chiude le sue “fauci” appena è toccata da un insetto.
Ancora più affascinante è lo studio di tutte le altre piante (e sono la stragrande maggioranza) che non mostrano apprezzabili movimenti se osservate a occhio nudo. Anch’esse, tuttavia, si muovono intensamente, anche se su una scala di tempi molto diversa dalla nostra. La corretta visualizzazione di questi eventi lenti, richiede tecniche cinematografiche che ne aumentino la velocità.
Negli ultimi anni l’interesse della scienza per i movimenti della pianta è molto cresciuto. Numerosi laboratori, oltre al LINV, si occupano oggi di questo interessante tema. Poiché, infatti, i movimenti delle piante sono il risultato di una lunga elaborazione, molto più laboriosa che negli animali, quando una pianta decide di muoversi lo fa a ragion veduta. Il consumo energetico che la pianta sostiene per muoversi deve essere ripagato dal risultato ottenuto con il movimento. Per questo studiando perché e come le piante si muovono, si cerca di ottenere informazioni sulle loro capacità, diciamo così, cognitive.
Sonno
La definizione di “sonno delle piante” la dobbiamo a Linneo che nel 1755 pubblicò un librettino poco conosciuto dal titolo “Somnus plantarum” in cui riassumeva i risultati dei suoi studi sulla differente posizione assunta dalle foglie e dai rami di alcune piante. Nonostante Linneo sia stato il primo a formalizzare in un trattato il fenomeno, questo era, nondimeno, conosciuto fin dal tempo dei greci, tanto che Androstene, scienziato del seguito di Alessandro Magno, descrisse per la prima volta la variazione di posizione fra giorno e notte delle foglie di tamarindo già nel quarto secolo a.C.
Oggi abbiamo imparato che questo fenomeno interessa tutte le specie vegetali e stiamo cercando di addentrarci nel meccanismo che lo regola. Sappiamo che ogni specie ha la sua posizione preferita, che la necessità di riposo è vitale anche nelle piante, e che se le ore di luce e di buio durante la giornata cambiano anche la fisiologia della pianta ne risente. Ciò nonostante, ci vorrà ancora del tempo prima di provare che le piante dormono realmente. Si tratta di un processo lungo e complicato, ma che vale la pena studiare a fondo. Negli animali il sonno è un fenomeno naturale durante il quale avviene una perdita di coscienza. I centri nervosi riducono il loro funzionamento; circolazione, respirazione e metabolismo rallentano. Studiare il sonno delle piante non interessa soltanto la botanica. Se si riuscisse a provare che anche le piante dormono allora avremo a disposizione un organismo modello molto semplice che potrà essere utilizzato per lo studio delle alterazioni del sonno con importanti implicazioni anche per la medicina umana.
Tratto da Nemeton n°1

Curiosità sullo zafferano: il mito del giaciglio fiorito di Zeus

Lo scorso anno, mentre mi trovavo in vacanza a Tenerife (una delle isole Canarie), sulla via del Teide, mi sono imbattuta in un negozietto di specialità locali e non ho potuto fare a meno di notare delle scatolette colme di fiori giallognoli-arancioni dal profumo assai familiare. Erano fiori essiccati di zafferano (Crocus sativus), che viene coltivato in certe parti dell’isola.
In molti lo usano in cucina, ma lo zafferano (chiamato anche castagnole, crocco, croco, giallone dafran, tafferanu o zafferana) ha moltissimi usi comuni medicinali. Per chi non avesse mai visto la pianticella dal vivo, si tratta di una pianticella erbacea delle Iridacee, perenne, alta circa 30 cm, il cui fusto è sotterraneo (ovvero ha un bulbo) e le cui foglie sono di un bel color verde chiaro, lineari e strette, che spesso sono avvolte in una pellicola giallognola dalla consistenza cartacea. I fiori, tipicamente violetti, hanno una corolla lunga 10 cm, a tubo, che si apre in 6 lembi da cui fuoriescono 3 stami gialli e 3 grandi stimmi color rosso aranciato. I suoi frutti sono delle capsule loculicide di forma allungata


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ZAFFERANO: I FONDAMENTALI
Originario dell’Asia minore, lo zafferano cresce spontaneo nel bacino del Mediterraneo e in Italia è coltivato specialmente in Abruzzo. Si coltiva in terreni ben sciolti, sia in piena terra che in ciotole, interrando i bulbi ad una profondità di 5-8 cm e distanti fra loro altrettanto. Non si devono asportare i fiori né tagliare le foglie prima che siano del tutto secche. Le parti che si utilizzano sono gli stimmi, che si raccolgono al momento della fioritura in ottobre-novembre. Dopo che gli stimmi vengono asportati, li si fa essiccare in forno a temperatura moderata, e si conservano in barattoli ermetici.


UNA DROGA COSTOSA
Occorrono circa 200.000 fiori e 500 ore di manodopera per ottenere 1 chilo di zafferano: Ecco perché questa droga dal colore dorato, e dal sapore pungente, ha un prezzo così alto. Essa viene usata, oltre che come condimento, anche come colorante, medicinale e profumo e, come tutte le cose di grande valore, viene spesso adulterata o mescolata a surrogati: il migliore di questi è senz’altro il cartamo, che viene anche chiamato “zafferano falso a”, o “zafferano bastardo”.
UN GIACIGLIO DI FIORI PER IL RE DELL’OLIMPO
Lo zafferano era conosciuto fin da tempi remoti, ed era molto amato dagli antichi egizi, che lo usavano per tingere tessuti, per produrre unguenti e profumi, e come aromatizzanti per i cibi. Citata da Omero nell’Iliade, godeva di grande popolarità presso i greci, secondo i quali i fiori di zafferano (insieme con il loto e il giacinto) servivano da giaciglio a Zeus, re dell’Olimpo.Dioscoride citava invece con una certa precisione le proprietà salutari di questa droga, mettendo in guardia contro le eventuali adulterazioni. Con lo zafferano si produceva anche un fumoso unguento, chiamato “crocomagna”, che si riteneva efficace per una serie di disturbi.
UN PREGIATO PRODOTTO DI IMPORTAZIONE
Il consumo di zafferano ha costituito per molti secoli una delle spinte più forti a scambi e commerci con l’oriente. Nell’antichità i Fenici trassero da esso grossi guadagni, visto che godettero per lungo tempo di una sorta di monopolio riguardo questo prodotto. In epoca medievale il commercio dello zafferano costituiva una voce così importante tra le importazioni della Repubblica veneziana, che fu aperto un ufficio apposito addetto esclusivamente all’acquisto della spezia: a Verona, invece, s’imponevano dazi davvero esorbitanti. Alla fine del Trecento la spezia cominciò a essere coltivata in Europa, mitigando la sua caratterizzazione esotica.
LA SPEZIA IN GRADO DI GUARIRE I MORIBONDI
Il suo utilizzo, come aromatizzante e come rimedio in molte affezioni, non venne mai meno, anzi la sua fama andò crescendo nel tempo, fino a quando allo zafferano furono attribuite proprietà addirittura salvifiche: “coloro che sono prossimi al trapasso” recitava un erborista del Seicento “possono essere rianimati tramite questa radice”.

Un tocco d’Oriente in Toscana: la coltivazione dello zafferano

Di prodotti tipici in Toscana ne abbiamo tantissimi: dai formaggi ai vini, dall’olio ai dolci. Forse però non tutti sanno che la nostra regione è anche una delle principali produttrici di zafferano, una spezia pregiatissima dal colore intenso.
L’”oro rosso“, originario del Medio Oriente, è stato importato in Toscana attorno al 1200 e da allora ha dato vita a un mercato ricco e fiorente. Sembra che addirittura in passato venisse usato come merce di scambio al posto del denaro.
enogastronomia in Toscana
La coltivazione dello zafferano in Toscana [Photo Credits: SanGiovannello bit.ly/Wwn8D0]
Lontano dai centri inquinati e caotici, viene effettuata la coltivazione di piante di zafferano, un prodotto simbolo di qualità ed eccellenza che si distingue in tutt’Italia. Le zone più prospere sono quelle delCasentino, di Firenze e di San Gimignano.
I profumi e i sapori unici di questa antica spezia hanno fatto rinascere e riscoprire la passione per il prodotto, utilizzato in molte ricette e piatti tipici della tradizione toscana.
La Panina del Casentino, ad esempio, è un pane dolce che viene preparato essenzialmente nel periodo diPasqua ed è composto da farina, lievito, uvetta e, ovviamente, zafferano.
enogastronomia in Toscana
La Panina Dolce del Casentino [Photo Credits: bit.ly/148Y9uX]
Molto famoso è lo zafferano di San Gimignano, che ha ottenuto la prestigiosa denominazione DOP. Oltre ad essere un alimento utile nella preparazione di molti piatti locali (il pane con la vernaccia, la schiacciata), è anche un ottimo ingrediente farmacologico.
Tutt’oggi lo zafferano è considerato un prodotto di lusso, con elevati costi di produzione dovuti in gran parte all’iter di lavorazione della spezia: il processo inizia dai filamenti del bulbo della pianta, il “crocus sativus L.“, e termina con la loro tostatura. Oltre a richiedere molto tempo, l’elaborazione dello zafferano richiede attenzione, cure e manualità esperta. Vi basti sapere che per ottenere un solo chilogrammo di zafferano sono necessari 150 000 stigmi del fiore!
La fase di pulitura dei bulbi dello zafferano [Photo Credits: SanGiovannello bit.ly/10Nu0Bw]




Ortica: i mille benefici e come utilizzarla al meglio


L'ortica (Urtica dioica) è una pianta erbacea diffusa sia in oriente che in occidente, nota per il potere irritante dei peli che ne ricoprono le foglie e i fusti. Meno conosciute sono però le sueproprietà benefiche e curative, che la rendono un'efficace pianta medicinale, particolarmente utilizzata in erboristeria. Non bisogna inoltre dimenticare che l'ortica può essere utilizzata incucina nella preparazione di gustose pietanze.
L'ortica può essere facilmente raccolta utilizzando un paio di guanti, per evitare irritazioni. La sua presenza può essere individuata lungo sentieri di montagna o di campagna. Per usi curativi ed alimentari è bene raccogliere l'ortica in zone collocate lontane dal traffico cittadino. Una volta cotte o essiccate, le foglie di ortica perdono la loro caratteristica irritante e risultano così completamente innocue al tatto.
L'ortica è particolarmente ricca di potassio, fosforo, ferro, vitamina A, vitamina C, calcio e potassio. I suoi impieghi curativi e culinari erano già noti in Grecia fin dall'antichità, quando, per tradizione, l'ortica doveva essere raccolta prima del sopraggiungere della primavera. Le foglie di ortica contengono buone quantità di rame e di zinco, che rendono il suo consumo indicato a coloro che desiderano rinforzare unghie e capelli.
L'ortica è particolarmente ricca di potassio, fosforo, ferro, vitamina A, vitamina C, calcio e potassio. I suoi impieghi curativi e culinari erano già noti in Grecia fin dall'antichità, quando, per tradizione, l'ortica doveva essere raccolta prima del sopraggiungere della primavera. Le foglie di ortica contengono buone quantità di rame e di zinco, che rendono il suo consumo indicato a coloro che desiderano rinforzare unghie e capelli.L'ortica può essere facilmente raccolta utilizzando un paio di guanti, per evitare irritazioni. La sua presenza può essere individuata lungo sentieri di montagna o di campagna. Per usi curativi ed alimentari è bene raccogliere l'ortica in zone collocate lontane dal traffico cittadino. Una volta cotte o essiccate, le foglie di ortica perdono la loro caratteristica irritante e risultano così completamente innocue al tatto.
ortica hm
La sua ricchezza di oligoelementi la rende una pianta dalla proprietà rimineralizzanti, adatta ad essere consumata da parte di coloro che soffrono di artrite e di malattie di tipo reumatico.
E' considerata come un vero e proprio toccasana per le donne che vanno incontro alla menopausa e ad una conseguente riduzione della massa ossea, dovuta a perdita di calcio. L'ortica ne è infatti una tra le possibili fonti vegetali, oltre a semi di sesamo, mandorle e broccoli.
Il consumo di ortica è inoltre utile a tutti coloro che soffrono di anemia o carenza di ferro, con particolare riferimento alle donne in età fertile. All'ortica sono attribuite proprietà emostatiche e antidiabetiche. L'assunzione di ortica viene consigliata per favorire la regolarità intestinale ed in caso di episodi di dissenteria.
Chi non ha la fortuna di poter raccogliere ed essiccare dell'ortica da utilizzare al momento del bisogno, potrà trovare in vendita in erboristeria sia foglie che radici già essiccate, da impiegare, ad esempio, per la preparazione di tisane e di decotti. Esistono inoltre preparazioni fitoterapiche sotto forma di capsule o di tinture, da acquistare dietro consiglio del medico o dell'erborista a seconda delle proprie necessità.
Una tintura casalinga a base di ortica, utile con l'arrivo dell'autunno, può essere preparata lasciando a macerare 10 grammi di foglie essiccate in 100 grammi di alcol per liquori, con l'aggiunta di 30 millilitri d'acqua. E' necessario utilizzare un flacone o una bottiglia di vetro scuro, da lasciare riposare al buio per dieci giorni. In seguito la tintura potrà essere utilizzata nella quantità di poche gocce per effettuare un massaggio del cuoio capelluto, al fine di rinforzare i capelli e di provare a prevenirne la caduta stagionale.
Le sommità floreali essiccate di ortica possono essere utilizzate per la preparazione di un infuso utile per coloro che soffrono di carenza di ferro, a cui nello stesso tempo è possibile consigliare un aumento del consumo di spinaci e di legumi, accompagnati da fonti di vitamina C, come carote, kiwi, agrumi e spremute d'arancia. Per la preparazione dell'infuso è sufficiente lasciare riposare uncucchiaino di fiori essiccati di ortica in un bicchiere contenente 250 ml di acqua bollente. L'infuso dovrà essere filtrato e lasciato intiepidire prima di procedere al consumo.

Nelle preparazioni di cucina è sufficiente sbollentare le foglie di ortica per pochi minuti,per poterle in seguito sminuzzare ed utilizzare come ingrediente per la normale preparazione di risotti, minestroni, zuppe, vellutate e torte salate. Le foglie di ortica lasciate intere possono essere impiegate per la preparazione di piccoli involtini, da riempire, ad esempio, con dell'orzo lessato. Insieme a patate lessate schiacciate e erbe aromatiche, le foglie d'ortica tritate possono costituire il ripieno per degli ottimi ravioli caserecci.

Usi alternativi dell'ortica

Gli impieghi dell'ortica non si limitano però agli usi culinari e per il benessere. Essa viene infatti utilizzata come materiale di partenza in campo tessile, per la realizzazione di una stoffa intessuta, chiamata ramia o ramiè, simile alla canapa o al lino. Dall'ortica si ottiene una fibra vegetale bianca e sottile, che in Cina veniva utilizzata molto prima della diffusione del cotone.
L'ortica è anche una pianta tintoria, adatta a colorare le stoffe. Le sue foglie tingono di verde, mentre le radici regalano ai tessuti un colore giallo. Piante tintorie come l'ortica possono essere utilizzate per tingere stoffe naturali (non sintetiche) portandole ad ebollizione insieme al tessuto che si desidera colorare e lasciando riposare il tutto per alcune ore, fino ad ottenere la tonalità desiderata. Per fissare il colore, le stoffe potranno in seguito essere immerse in una soluzione composta da quattro parti d'acqua e da una parte di acero bianco.

Ortica


Nome popolare: Ortica, Ortiga Garganella, Rittìca, Ardica, Ludrica, Pizzianti Mascù, Pistidduri.
Nome scientifico: Urtica Dioica L.
Descrizione: L'ortica si trova fino ad un'altitudine massima di 2.400 m. La pianta è ricca di radichette, fusto eretto fino ad un' altezza massima di 1,5 m. con sezione quadrangolare. Le foglie sono ovali di forma allungata con il margine dentato. In estate fa fiori piccoli e verdastri, raccolti in spighe pendenti; tutta la pianta è ricoperta di peli urticanti (come si dice all'Elba il contatto causa le "galle" sulla pelle). Si utilizza tutta la pianta, oppure solo le foglie. Fra la primavera e l'estate può essere essiccata all'ombra ed anche il rizoma e le radici possono essere utilizzate.
Nota: La pianta va raccolta proteggendosi le mani con dei guanti, perché in esso ci sono sostanze urticanti.
Habitat: L'ortica si può trovare vicino alle case, lungo i viottoli, nei boschi.
Utilizzo:
  • in agricoltura: Nelle zone di campagna l' ortica viene mescolata con il mangime per le galline, per migliorare la produzione di uova.
  • in medicina: Con l'ortica si può fare un decotto, un infuso, uno sciroppo per depurare l'organismo, contro l'anemia e i reumatismi (dolori alle ossa). Per uso esterno serve per rinforzare il cuoio capelluto e combattere la caduta dei capelli e anche contro la forfora; inoltre è antianemica, antidiabetica, astringente, depurativa, diuretica, emostaticarevulsiva. Il decotto di ortica ha potere antiparassitario sulle piante dell'orto. L'ortica é ricca di clorofilla, vitamina c, sali minerali; é antireumatica, emostatica e cicatrizzante.
Decotto contro la forfora: Mettere tutta l'ortica possibile in 0,5 l di acqua, si fa bollire per circa venti minuti e nel frattempo si sarà completamente disfatta e si aspetta che il tutto si freddi. Dopo di che si cola l' ortica con il liquido in un colino. Si versa l'infuso sui capelli, e poi si fanno asciugare al naturale.
Ricetta: cannelloni all' ortica: Ingredienti per 4 persone:12 cannelloni, 300 g. di ortica, 350 g. di ricotta, 3 cucchiai di pane grattato, un pizzico di noce moscata, un uovo, 100 g. di parmigiano grattugiato, un pizzico di sale e 2 fette di pane inzuppate nel latte.
Preparazione: Mettete per tre minuti l' ortica a sbollentare e poi scolarla e passarla con il tritatutto; mettere in un recipiente l' ortica aggiungendo 350 g. di ricotta, tre cucchiai di pane grattato, l'uovo, 100 g. di parmigiano, un pizzico di sale, un po' di noce moscata. Scolare poi il pane dal latte e aggiungendolo nel recipiente. Mischiate poi il tutto, riempite i cannelloni e metteteli in una teglia. Aggiungere uno strato di besciamella e uno di salsa. Far cuocere a 180° per circa 20 minuti.

Carote viola: proprietà anti invecchiamento grazie ai polifenoli


In agricoltura la parola d’ordine è nutraceutica, cioè realizzare prodotti della terra che non siano solo nutrienti ma anche salutari. L’ultimo risultato di queste ricerche sono le carote ad alte proprietà antiossidanti e antibatteriche di colore viola. Questi prodotti non sono fantascientifici e nemmeno modificati geneticamente, ma una realtà tutta italiana. A produrre ciò un’impresa orticola all’avanguardia che opera nella Piana di Fucino e lavora in team con medici e biologi.

‘Le carote a polpa scura o ‘purple carrot’, sono le più ricche in polifenoli, sostanze che difendono la nostra salute – dice Alessandro Aureli contitolare dell’azienda agricola di famiglia, in provincia dell’Aquila, dove nascono le carote ‘multicolor’. Produciamo già una nostra linea di succhi multivitaminici di verdura, tutti naturali, che commercializziamo nei negozi bio e in quelli di gastronomia’. Queste carote particolari, dalla polpa scura, hanno un’alta concentrazione di polifenoli, antiossidanti naturali, che proteggono le cellule dai danni causati da moltissime cose, tra cui: radicali liberi, radiazioni, fumo, agenti inquinanti, raggi UV, stress, additivi chimici, attacchi virali e batterici e hanno proprietà anticancerogene e antinfiammatorie.
Ma non è al prima volta che si producono ortaggi e frutti particolari e con benefici per la salute dell’uomo. Ci sono le patate arricchite di selenio per prevenire tumori ,le patate con la buccia rossa che contengono vitamina C, le patate dolci con un cuore viola che hanno molte proprietà anticancerogene e i pomodori neri (viola-nero all’esterno con la polpa di colore rosso), ricchi di antociani.

Le carote viola ritornano, ci salavano da una dieta sbagliata


Sono anche anti ossidanti, lo rivela uno studio australiano

La carota viola
possiede preziose qualita' antinfiammatorie, oltre che antiossidanti. Lo hanno scoperto scienziati australiani. Cancellano anche gli effetti di una dieta malsana, dicono gli studiosi dell'University of Southern Queensland. Topi alimentati con una dieta ricca di grassi e carboidrati, e che hanno contratto pressione alta e danni al fegato e al cuore, alimentati con carote viola, per due mesi, hanno visto ritornare tutto nei parametri normali.

E le carote arancioni?
In origine la carota era di colore viola, come ci indicavano testimonianze dell'antico Egitto, ma anche, intorno al X secolo, notizie dall'Iran, dall'Afghanistan e Pakistan. 

Nel XIV secolo in Europa si importavano carote viola, bianche e gialle e si ha notizia anche di quelle nere, rosse e verdi.
Nel 1720 gli olandesi decisero di cambiargli il colore in onore della dinastia regnante, gli Orange, e di qui ebbe inizio la trasformazione, che non avvenne in laboratori, come per le moderne "modificazioni genetiche", ma nei campi olandesi, per selezione successiva, partendo da un seme di carota proveniente dall'Africa del nord. Così nel giro di qualche anno si è arrivati ad una carota arancione, perdendo la semenza delle prime.

Il ricercatore Philipp Simon, usando sistemi di incrocio tradizionali, senza cioè l'ausilio delle biotecnologie, è riuscito a ottenere carote con nuove colorazioni, in pratica ha ricreato carote con i colori che avevano in passato. Lo scopo iniziale era quello di far crescere il consumo della verdura sfruttando il suo appeal cromatico. Poi però, studiando le proprietà nutritive delle nuove carote, gli studiosi hanno scoperto di avere fatto centro. I nuovi colori portano, infatti, con sé anche una serie di benefici per la nostra salute.

Piante da orto

Tutte le fasi produttive degli ortaggi avvengono nella nostra azienda e vengono seguite quotidianamente dal personale.
La prima fase di semina degli ortaggi nei contenitori, con sementi garantiti e di ottima qualità, avviene meccanicamente attraverso una seminatrice di ultima generazione, così come il riempimento di vasi e contenitori alveolari con terricci provenienti dalla bassa Germania.
Dopo la semina i contenitori vengono portati in una serra di germinazione e posizionati su un piano di pomice al di sotto del quale passano tubi di rame dove scorre acqua calda. Una volta che le piantine sono cresciute vengono trapiantate in alveoli più grandi destinati poi alla vendita. La fase del trapianto fino al 2012 è avvenuta esclusivamente a mano; a partire dalla stagione 2013 gran parte di questa fase è stata automatizzata con la nuova ripicchettatrice automatica. Le successive fasi di irrigazione avvengono con sistemi di irrigazione automatici ma per la maggior parte di ortaggi questa avviene manualmente per garantire un miglior risultato.
La tradizione contadina suggerisce di rispettare le fasi lunari per seminare gli ortaggi affinchè questi possano dare nella loro crescita risultati migliori: noi, ancora oggi, siamo favoreli a questa tradizione per cui tutte le semine avvengono rispettando i moti della Luna.
Da qualche anno diversi giovani hanno riscoperto la bellezza della terra coltivando un piccolo orticello di famiglia, altri hanno deciso di fare il loro piccolo orto nei vasi sulle terrazze. Questo è un bel segnale per il mondo dell’agricoltura. Oggi più che mai, la maggior parte della gente sente il bisogno di coltivarsi con le proprie mani quelle verdure che finiranno sulle loro tavole. Verdure assolutamente garantite, sane, delle quali è certa la provenienza

Pomodoro Canestrino




Pianta indeterminata, vigorosa e sana. Produce molti frutti del peso di 250-300g dal gusto unico. Rispetto alle varietà a “cuore”, questa garantisce un livello produttivo maggiore, uniformità di pezzatura delle bacche e una maggiore consistenza delle stesse, consentendo un’ottima manipolazione nel post-raccolta.


Come coltivare i pomodori in vaso


Continuiamo oggi con una delle nostre guide su come coltivare ortaggi e frutta in città direttamente sul nostro balcone o sul terrazzo. Lo so, rischio di sembrare un po’ fissata, ma vi assicuro che è una soddisfazione indescrivibile mangiare, è proprio il caso di dirlo, il frutto delle vostre mani. E non vi dico l’invidia delle amiche quando vado a raccogliere i pomodori in terrazzo per fare una caprese veloce o una spaghettata. Oggi, quindi, vediamo come coltivare il pomodoro in vaso. Armatevi di una bustina di semi e partiamo. Vi consiglio la varietà di pomodori a frutti grandi perché i San Marzano basta un niente per farli marcire e i pomodori ciliegini sono difficili da portare a maturazione.
Marzo è il mese ideale per la semina. Come prima cosa vi serve un semenzaio dove far crescere i semi. Vi ricordate quel geniale semenzaio biodegradabile di cui vi parlavo qualche post fa? Se l’avete già dimenticato guardate qui.
Fatto il semenzaio, distribuite i semi di pomodoro in maniera uniforme e ricopriteli con uno strato di circa mezzo centimetro di terreno. Compattate con le mani, su sporcatevele, e coprite il tutto con un panno di tessuto o anche un telo di nylon, l’importante è che quest’ultimo sia bucato per permettere il ricambio dell’aria. Non dimenticate di annaffiare abbondantemente, ma di farlo con delicatezza, altrimenti rovinerete la vostra bella opera prima di partire. Assicuratevi di mantenere la terra umida durante tutto il periodo di incubazione dei semi ed esponete il semenzaio in piena luce.
A Maggio, quando le piantine saranno diventate alte circa 8-10 cm, è il momento di rinvasare. La scelta del vaso è fondamentale perché non bisogna ammassare troppo piante in poco spazio. L’ideale sarebbe collocare una sola pianta in un vaso da 30 cm. Io ho usato un vaso per l’orto in terrazzo specifico dove sono riuscita a piantare 6 piantine ben distanziate l’una dall’altra. Per quanto riguarda il terriccio bisogna evitare quelli con troppa torba e non bisogna dimenticare di creare sul fondo uno strato drenante di argilla espansa.
Il periodo di crescita della pianta durerà fino a luglio, tempo durante il quale innaffieremo due volte a settimana, assicurandoci di non lasciar seccare la terra, e concimeremo ogni tre. Non bagnate le foglie perché l’umidità favorisce le malattie fungine. Una cosa importare da osservare durante il periodo di crescita è togliere quelle foglie che crescono tra fusto e foglia. Permetterete così alla pianta di risparmiare forze per concentrarle nella fruttificazione.
A partire dalla metà giugno vedrete che i fiori si ingrosseranno fino a diventare succosi frutti maturi. Et voilà, servite in tavola. Un consiglio: raccogliete i pomodori alla bisogna, senza staccarli tutti dalla pianta una volta maturi. Il bello di avere l’orto sul balcone di casa è poter avere cibi sempre freschi senza doverli mettere in frigorifero.

POMODORO DE BARAO


PIANTA DI GRANDE VIGORIA CHE RAGGIUNGE I 3 M DI ALTEZZA CON FRUTTI A GRAPPOLI DI 150 GR PER RACCOLTA ANCHE A FRUTTO SINGOLO. LUNGA CONSERVAZIONE MOLTO RESISTENTE ALLE MALATTIE

MENTA



La menta Piperita (Mentha piperita) è una pianta erbacea perenne, stolonifera, fortemente aromatica, che appartiene alla famiglia delle Labiate (Lamiaceae). La menta piperita è un ibrido tra la mentha acquatica e la mentha viridis ottenuto in Inghilterra. La pianta raggiunge il metro di altezza, fiorisce in piena estate, ha foglie verde brillanti ed il fusto può avere riflessi porpora. L'habitat migliore è quello che prevede un'esposizione a pieno sole ma con terreno sempre fresco. A seconda della varietà si distinguono due tipologie: la menta bianca e quella nera. Nella medicina tradizionale alla menta vengono attribuite diverse funzioni salutistiche: digestiva, antisettica e tonificante. In cucina si usa in zuppe, salse, in particolare è utilizzata per aromatizzare la carne di agnello, per preparare liquori, sciroppi e dolci. Dalla menta si estrae il mentolo, che è un ingrediente di molti profumi, cosmetici e medicinali.


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