Continua la serie dedicata alle piante bioenergetiche individuate per la produzione di biocarburanti più sostenibili come complemento di una soluzione totale alla crisi energetica e alimentare in atto. Rimani quindi con noi per capire meglio l’utilizzo, la convenienza e la reale sostenibilità di queste nuove piante adatte ad essere trasformate in biocarburanti:
Jatropha Curcas, l’Unico Biocarburante Sostenibile. Dall’Africa all’India, dal Belgio ad Ascoli Piceno, il Biodiesel dalla natura realmente sostenibile. Le avanguardie di una rivoluzione possibile
Grazie alla Jatropha, la società finlandese Wärtsilä ha annunciato l’avvio della prima centrale elettrica a biocarburante in Belgio entro l’inizio del 2009. Una centrale da 9 MW per un costo di 7 milioni di €, proprietà di una joint venture fra gli sviluppatori Thenargo e le aziende agricole locali. Ma la Jatropha promette molto di più.
La Jatropha Curcas è un arbusto in grado di produrre un frutto ricco di olio (140%) tradizionalmente usato come carburante per il riscaldamento e l’illuminazione nelle comunità in via di sviluppo. Ma il valore della Jatropha Curcas è attestato soprattutto come materia prima prodotta su larga scala per la produzione di biocarburanti. La Jatropha Curcas è attualmente oggetto di ricerca e di sviluppo per il suo enorme potenziale d’uso nella produzione di biodiesel per i trasporti. Uno dei principali vantaggi della Jatropha risiede nella possibilità di essere coltivata in condizioni di scarsa piovosità e siccità e soprattutto dove altre colture è pressoché impossibile farle crescere.
La Jatropha Curcas non è una fonte di cibo per animali o esseri umani e nella corsa per la produzione di biocarburanti come sostituzione al combustibile fossile potrebbe rivelarsi una soluzione ideale. Ma come gli eventi recenti hanno fatto intuire ancora la produzione del biocarburante coinvolge il settore alimentare (biocarburanti di 1° generazione) con grano, mais, canola e olio di palma. “Per questo il biodiesel prodotto dalla Jatropha Curcas come fonte di energia elettrica e combustibile si dimostra essere una passo avanti verso un utilizzo sostenibile dei biocarburanti”, parole di Ronald Wärtsilä e aggiunge “l’olio estratto dalla Jatropha è un biocarburante che ha un grande potenziale in quanto la Jatropha può essere coltivata non nelle aree delle foreste pluviali (come la canna da zucchero N.D.T.), ma anche in prossimità del deserto”. L’impianto di Wartsila produrrà energia elettrica per 20.000 abitazioni mentre il calore prodotto verrà utilizzato da agricoltori locali per riscaldare le serre ed in particolari processi di asciugatura di fertilizzanti.
Ma già l’olio di Jatropha Curcas verrà utilizzato in una centrale italiana in provincia di Ascoli Piceno dove grazie ad un accordo fra la società impiantistica Troiani e Ciarocchi di Monteprandone e il governo del Madagascar dove verranno coltivati 100.000 ettari a Jatropha. L’investimento ammonta a 5 milioni di € grazie ai quali si prevedono di poter ricavare 300.000 tonnellate di olio vegetale. L’obiettivo spiegano i titolari dell’azienda italiana è quello di “poter favorire nel prossimo futuro (2-3 anni) la costruzione nel territorio ascolano di tante piccole centrali elettriche di piccole dimensioni, 1 MW ciascuna, alimentate proprio con l’olio di Jatropha Curcas del Madagascar. In quella zona e con l’estensione di coltivazioni, potremmo avere tanto materiale da sostenere l’intero fabbisogno energetico del Piceno fra cittadini ed imprese”.
Il presidente della Provincia di Ascoli Piceno, Massimo Rossi, sta lavorando affinché altre imprese picene partecipino al progetto. Sempre Rossi ha sottolineato “non stiamo sottraendo terreno fertile all’agricoltura poiché laJatropha Curcas è una pianta che, al contrario del mais, del girasole o della soia, non occupa terreni destinati a colture commestibili. Inoltre una consistente quota dell’olio di Jatropha prodotto resta sul posto per lo sfruttamento locale. Questo scambio aprirà anche la strada ad altre relazioni tra la nostra Provincia e il Madagascar, in particolare in ambiti di eccellenza del nostro territorio come quelli dell’agricoltura, della viticoltura, della pesca e del turismo”.
Ma in tutto il mondo l’uso della Jatropha Curcas sta prendendo piede. In Tanzania le sorelle Vincenziane stanno facendo crescere con poca cura e poca acqua la pianta i cui semi assicurano un ottimo biocarburante. L’India ha inserito la Jatropha Curcas nel suo piano per l’indipendenza energetica e l’azienda inglese D1quotata all’Aim di Londar ha già fiutato il prossimo business dei biocarburanti. Sorella Kaja Peric nata in Bosnia ma che ora vive nel profondo sud della Tanzania spiega che “Non esiste una rete elettrica nazionale e nelle città qui intorno i black-out sono frequenti e possono durare fino ad 8 ore. Ma non nel nostro convento. Noi l’energia ce la coltiviamo in giardino”.
E davvero insieme al mais, ai girasoli, le sorelle coltivano per davvero anche l’elettricità grazie alla Jatropha Curcas. Kaja, responsabile del progetto sta facendo crescere dietro al convento 50.000 esemplari di Jatropha Curcas. La pianta che potrebbe cambiare se non i destini del mondo, almeno quelli dell’Africa. Sul tetto della chiesa c’è un gigantesco pannello solare fatto a V (in onore a San Vincenzo che ispira il convento) con una croce bianca nel centro. “Il sole ci fornisce l’energia sufficiente per il giorno” spiega Kaja. Durante la notte abbiamo il generatore a diesel che per ora funziona a combustibile fossile ma dal prossimo anno a biodiesel di Jatropha. Continua Kaja “Gli esperimenti gli abbiamo fatti: basta spremere i semi della pianta per ottenere un olio che, semplicemente filtrato mette in moto il generatore di elettricità, è una meraviglia. E tutto questo rispettando l’ambiente”.
Alla latitudine ad Arusha, abita Livinus Manyanga, Tanzania del Nord,quasi alle falde del Kilimangiaro, il sole sorge dopo poco le 6, ed è in quell’esatto momento che il business per Manyanga si mette in moto: quando l’energia del sole accende la fotosintesi clorofilliana. Nell’azienda di Arusha non ci sono ettari di coltivazioni ma solo un giardino. “Il mio vivaio è un piccolo centro di ricerca e di sviluppo. Il mio compito è quello di diffondere l’uso dellaJatropha in Africa, insegnandone la coltivazione, distribuendo così una nuova ricchezza. Con gli scarti della produzione dell’olio, da 2 Kg di semi tritati e 5 l di acqua di produce abbastanza metano per cucinare 3 giorni”. Ma c’è di più “Con l’olio di Jatropha Curcas si fabbricano saponi che le donne dei villaggi possono vendere e i residui della macinazione sono un ottimo fertilizzante”. Manyanga lo battezza senza mezzi termini: “L’oro verde del deserto”. Mentre per il piano di indipendenza energetica entro il 2012 l’India ha deciso di piantare 160 milioni di esemplari di Jatropha Curcas.
La Jatropha Curcas è originaria dei Caraibi, la pianta è stata traghettata per il mondo dai marinai portoghesi che la usavano per costruire recinzioni di protezione per i propri villaggi nelle colonie. La Jatropha ha bisogno di pochissima acqua mentre le sue radici proteggono il terreno. “In Tanzania -racconta Manyanga- la Jatropha è una pianta ben nota: viene infatti usata per recintare le tombe”. Le potenzialità della Jatropha Curcas spiega Manyanga ci sono. 1 ettaro di Jatropha produce 1.900litri di olio che può essere bruciato da solo o in miscela. Così dall’India, alla Cina che sta dedicando milioni di ettari per uso combustibile, al Guatemala dove la Jatropha è stata usata per secoli come recinzioni. E a testimonianza di una rivoluzione alle porte in Francia è stato pubblicato un volume eloquente: “Jatropha, le meilleur des biocarburants”.
La Jatropha Curcas è velenosa e quindi libera da alcun impiego come materia prima alimentare, “Ma soprattutto cresce e prospera in tutta la fascia tropicale -sottolinea sorella Kaja- dove si concentra la gran parte della povertà del mondo.” Scientificamente parlando la Jatropha Curcas è una della 170 varietà di Jatropha della famiglia delle Euforbiacee. Originaria dei Caraibi è diffusa in Africa e in Asia da marinai e commercianti portoghesi. La Jatropha Curcas ha una vita media di 40-50 anni ed è in grado di fertilizzare il terreno con le sue foglie combattendo la desertificazione, aggiungiamo che laJatropha Curcas contiene anche la “Jatrophina” che si ritiene avere proprietà anti-tumorali.
- Come produrre biodiesel dalla Jatropha Curcas?
Il biodiesel dalla Jatropha Curcas si ottiene grazie ad un processo chimico dove dopo una scissione della molecola di trigliceridi viene effettuata una prima miscelazione di idrossido di sodio, poi una seconda di olio vegetale ed infine il composto viene lavato e filtrato per ottenere il biodiesel.
- Il costo di produzione del biodiesel dalla Jatropha
Il costo del biodiesel estratto dalla Jatropha Curcas varia a seconda del paese ma mediamente risulta di circa 0,40 $ per litro risultandone l’olio di palma l’unico concorrente.
In conclusione la Jatropha Curcas risulta essere uno dei migliori sostituti sostenibili dei biocarburanti per il veloce esaurimento dei combustibili fossili, prevedendo addirittura una possibile riduzione dei prezzi dei carburanti automobilistici. Rimaniamo in attesa.
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Etanolo: Dal Sorgo Dolce il più recente dei Biocarburanti. Si diffondono le coltivazioni del nuovo sostituto ad alto rendimento del mais
Il sorgo dolce è una pianta altamente competitiva in grado di dominare le altre piante infestanti. Le esigenze nutrizionali delsorgo dolce sono simili a quelle del mais. Il sorgo dolce utilizza infatti relativamente grandi quantità di azoto ed in quantità più moderata di fosforo e potassio. L’etanolo prodotto dal sorgo dolce proviene dal succo del gambo delle piante. I chicchi delle piante possono essere utilizzati come mangimi per animali. Il sorgo dolce infatti ha un elevato valore proteico e di vitamine e può essere utilizzato per sciroppi, farine ed un alimento simile al pop corn chiamato sorgo kernel.
Quando si parla di sorgo dolce si parla per questo di sostenibilità sociale. Il sorgo dolce è più conveniente da coltivare rispetto ad altre piante. In India ad esempio, i costi di coltivazione del sorgo dolce sono di 1/3 di quelli per la canna da zucchero. Il sorgo dolce inoltre è una pianta molto resistente alla siccità infatti un rivestimento ceruleo del fogliame lo rende resistente alle perdite liquidi e all’essiccazione, perdendo una percentuale molto minore di liquidi rispetto ad esempio alle foglie del mais. Ottima caratteristica favorevole alla produzione dell’etanolo per il sorgo dolce sta nel suo alto contenuto di zuccheri che possono variare dal 15 al 20 %. Ma produrre etanolo dal sorgo dolce potrebbe rivelare veramente un interessante risvolto.
Il sorgo dolce, già utilizzato negli USA soprattutto per l’alimentazione animale, offrirebbe una parte considerevole della pianta (un fusto alto 3m) che potrebbe essere trasformato in etanolo senza danneggiare le colture alimentari che crescono sulla cima destinate appunto agli animali. Il sorgo dolce a differenza del mais è in grado di produrre 8 unità di combustibile per ogni unità di combustibile impiegato nella sua coltivazione il che lo renderebbe perfettamente utilizzabile nei paesi in via di sviluppo. Anche negli USA, dove la produzione meccanizzata utilizza più carburante, l’etanolo prodotto dalsorgo dolce renderebbe 4 volte più energia del mais.
Ma la potenziale sostenibilità del sorgo dolce non finisce qui, infatti nel mondo il sorgo dolce non si scambia nei mercati internazionali ma viene cresciuto e consumato a livello locale, così spiega anche Mark Winslow, dell’istituto internazionale per la ricerca sui raccolti nelle zone semi-desertiche del Tropico. L’istituto è un organizzazione no-profit concentrata sullo studio di “colture intelligenti” e sistemi di produzione volti a favorire la popolazione povera e gli agricoltori senza terra con colture che non danneggiano l’ambiente. Ma per il sorgo dolce non finisce qui infatti in India l’istituto di ricerca ha strutturato una squadra in collaborazione con Tata per distillare più di 45.000 litri dietanolo ogni giorno dal sorgo dolce cresciuto localmente. Gli agricoltori inoltre possono ancora utilizzarne i frutti per sfamarsi trasformandolo nei tradizionali piatti locali e dandolo come alimento proteico per il loro bestiame.
La coltura di sorgo dolce così sopravvive senza irrigazione tollerando anche le inondazioni provocate dalle violenti perturbazioni. Secondo Winslow dato che il sorgo dolce crescerebbe nei luoghi poveri del pianeta come Asia e Africa avrebbe un forte potenziale per poter essere utilizzato buona parte proprio in queste zone invece di essere spedito nei paesi occidentali. Il sorgo dolcecomunque differisce dalla specie comune coltivata sui circa 43 milioni di ettari di terreno agricolo in tutto il mondo, l’istituto comunque ha ribadito la possibilità di poter coltivare questa pianta su circa la metà della superficie di questa terra. In tutto il mondo cresce l’interesse per questa nuova fonte di etanolo e gli USA, il più grande paese ora produttore di sorgo dolce, sta organizzando una conferenza per diffonderne l’uso come fonte di etanolo. Fra i paesi che stanno esplorando e stanno per esplorare questa possibilità vi sono Messico, Kenya, Nigeria, Mali, Mozambico, Uganda, Cina, Filippine, Indonesia e il Brasile.
Così team di ricercatori di tutto il mondo stanno comprovando i vantaggiche può offrire il sorgo dolce, parente stretto della canna da zucchero, infatti gli esperti hanno scoperto che a causa della fisiologia della pianta, il sorgo dolce sembra essere più efficace nel riutilizzare gli zuccheri conservati nel fusto della pianta, consentendo di accumulare livelli elevati di saccarosio. Mentre il sorgo dolce è una pianta annuale e può essere inserita senza problemi in una coltivazione a rotazione, la canna da zucchero è una pianta perenne, per questo spiega il Dr. Lee Tarpley, fisiologo vegetale del Texas Agricoltural Experiment Station, che “bisogna sviluppare un ampio corpus scientifico da applicare al sorgo dolce, come fatto in precedenza con la canna da zucchero, comprendendo i possibili e reali utilizzi nel mercato al fine di aumentare al massimo il successivo sforzo per la coltivazione”.
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Kudzu e Kudzunol: Etanolo, Fibre Tessili e Farmaci da una pianta infestante. Nuove ricerche sui Biocarburanti Sostenibili mettono in luce il Kudzu come nuova alternativa e complemento alle piante bioenergetiche
Il Kudzu, la pianta infestante dalla sorprendente crescita potrebbe rilevarsi una delle più interessanti soluzioni per la crisi dei biocarburanti. Almeno così è convinto Rowan Sage dell’Università di Toronto e i suoi colleghi del Dipartimento dell’Agricoltura degli USA. Ma vediamo meglio di cosa si tratta.
Il Kudzu è una sorta di vite chiamata anche “la pianta che divora il Sud” che per la straordinaria crescita si potrebbe pensare sia nativa delle Americhe, invece il Kudzu è stato importato dall’Asia e a poco a poco è riuscito a ricoprire qualcosa come 3 milioni circa di ettari nel profondo Sud degli USA e ogni giorno decine di persone devono lavorare duramente per sradicare la pianta.
Il Kudzu può crescere anche 1,5m in una settimana mentre le sue radici ricche di amido si immergono in profondità nel terreno e durante l’inverno soltanto un piccolo frammento basta a rifarla sbocciare con la nuova stagione. “Il Kudzu è solo una grande quantità di carboidrati in attesa di essere raccolta” spiega Sage, il suo team infatti sta raccogliendo campioni di Kudzu da diverse località nel sud in momenti diversi dell’anno misurando la quantità di carboidrati contenuti. Carboidrati che partendo dalla pianta di Kudzu possono essere trasformati in etanolo. Addirittura il 68% dei carboidrati sono contenuti nelle radici del Kudzu.
- Kudzu: Storia e Paradossi
Negli USA il Kudzu è stato introdotto nel 1876, in Pennsylvania durante ilCentennal Exposition a Philadelphia, gli altri paesi sono stati invitati a festeggiare l’avvenimento realizzando bellissimi giardini pieni di piante provenienti dal loro paese. Le grandi foglie e il dolce profumo dei fiori di Kudzuhanno attirato l’attenzione dei giardinieri che hanno immediatamente iniziato ad utilizzare la pianta diventata poi infestante. Dopo che fu scoperto inoltre che la pianta può essere utilizzata come ottimo foraggio i semi di Kudzu ora vengono venduti on line.
Durante la “grande depressione” del 1930 il Kudzu veniva utilizzato dai contadini per la conservazione del suolo, promuovendo il Kudzu per il controllo dell’erosione e percependo finanziamenti governativi per il suo utilizzo. Ma mentre si preveniva l’erosione le piante iniziavano ad invadere le preziose foreste limitando sempre più la luce del sole. Questo problema ha portato il dipartimento forestale a ricercare un metodo per eliminare il Kudzu, in 18 anni di ricerca si è scoperto che la pianta più difficile da sterminare può richiedere fino a a 4 anni di trattamenti con erbicida, il Kudzu ne richiedeva almeno 10 con i migliori erbicidi.
- Kudzu: Ricerca e Possibilità
I ricercatori stanno già stimando che potrebbero produrre 3000 litri di etanolo circa per ettaro che è paragonabile alla resa del mais (1800-3200l per ettaro). Fondamentalmente ora l’analisi si è spostata sulla reale convenienza economica del Kudzu, in particolare delle radici che possono raggiungere una profondità di 6m alla ricerca di acqua e sostanze nutritive. E’ fuori dubbio una questione, cioè che l’impianto di Kudzu non richiede attenzioni quindi costi nella semina, nei fertilizzanti o nell’irrigazione.
Si è arrivati comunque a stimare un produzione di biocarburante sostenibile utilizzando il Kudzu pari all’8% della produzione totale di biocarburanti negli USA nel 2006. Come suggerisce Sage: “Utilizzando il Kudzu non si risolverebbe la crisi energetica ma sarebbe davvero un utile complemento”. Inoltre gli impianti odierni di produzione di etanolo da mais potrebbero essere utilizzati facilmente con il Kudzu. Bob Tanner dellaVanderbilt University di Nashville propone di utilizzare il Kudzu anche come utile e resistentissima fibra tessile. “Il mio suggerimento è essere creativi!”
La ricerca attuale sull’utilizzo del Kudzu può condurre a produrre nuovi farmaci (ora in fase di test), come nel trattamento per l’alcolismo. Nonostanteil Kudzu venga utilizzato da secoli nella medicina cinese, prima che il farmaco sia reso disponibile sul mercato passeranno diversi anni. Già nel Tennessee grazie Agro Gas Industries comunque entro la fine del 2009 si inizierà a produrre il “Kudzunol”, l’etanolo estratto dal Kudzu. Conclude Doug Mizell, co-fondatore della società del Tennessee, “Cresce un piede al giorno, 15m circa in una stagione e può essere raccolto 2 volte l’anno … Non è male come standard!
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Il Biodiesel dalla Camelina: Possibile Soluzione al dilemma Biocarburanti vs. Colture Alimentari. Una Pianta che aumenta la redditività del terreno: Ecco quando un Biocarburante Sostenibile è realmente possibile
La Camelina è una nuova opportunità per le energie alternative e i biocarburanti. La pianta infatti presenta un’opportunità unica per fornire una materia prima affidabile e a basso costo per la produzione di biodiesel. Le coltivazioni sono ora in via di sperimentazione dalle grandi pianure degli USA al Canada. E gli analisti promettono interessanti opportunità per questa coltura bioenergetica.
La Camelina Sativa (chiamato anche falso lino) è un vegetale utilizzato anticamente ampiamente nell’alimentazione. La Camelina è nativa dell’Europa del Nord, della Finlandia e anche Romania; della stessa famiglia della senape,la Camelina anticamente si coltivava nelle zone marginali dei terreni agricoli richiedendo scarse attenzioni se non quella di tenere il terreno relativamente pulito.
I semi della Camelina hanno un alto contenuto proteico che si aggira attorno al 25% e un contenuto in olio pari al 40% circa. Introdotta diversi anni fa negli USA, la Camelina è stata sperimentalmente coltivata in Montana l’anno scorso in circa 40.000 ettari fornendo una materia prima sostenibile e qualitativamente eccezionale. La Camelina offre delle opportunità uniche infatti:
- La Camelina richiede bassi costi di piantagione e manutenzione durante le stagioni.
- La Camelina è una coltura molto adatta alle dure condizioni meteorologiche e climi di molte regioni della terra.
- La Camelina aggiunge nutrimenti al terreno durante la rotazione delle colture.
- La Camelina può ridurre le malattie delle piante, gli insetti nocivi e la pressione delle piante infestanti in genere, il fatto si è notato l’anno successivo durante una piantagione di grano. Per questola Camelina riesce ad aumentare la resa della coltivazione successiva del 15%.
“La Camelina Sativa è una pianta annuale a germinazione spontanea,con piccoli fiori gialli e silhouette ovali lunghe 5-10 mm. La fioritura va da maggio a fine giugno e la si trova per lo più, ai margini dei campi seminati a frumento. I suoi semi sono piccoli, (da 1 a 1,5 mm) di colore giallo dorato con uno spacco centrale simile al frumento. Può essere coltivata in altitudini fino e anche oltre i 1000 metri. La sua diffusione si è estesa in tutta l’Europa dopo essere stata maggiormente presente nella parte Sud-Orientale europea.
Nei paesi anglosassoni la Camelina Sativa è chiamata “Gold of Pleasure” espressione che ne indica il colore ed il piacere che gli uccelli esprimono cibandosene. È un seme che, grazie agli oli Omega 3 e Omega 6 ivi contenuti è molto utile per lo sviluppo dei nidiacei e per la fase di muta. Graditissimo ai canarini e a tutti gli altri carduelidi. Ha un tenore proteico del 18% e può essere utilizzata allo stato naturale, mescolata in ragione del 10% circa al pastoncino che viene offerto giornalmente.”
La Camelina inoltre offre una soluzione al raggiungimento di una produzione di biodiesel sostenibile infatti la Camelina non interferisce con la produzione alimentare. La pianta e i semi oltre ad essere lavorati per estrarre il prezioso olio offrono uno scarto che può essere utilizzato come mangime ad alta qualità (la pianta è ricca di omega 3) per l’alimentazione di animali.
La Camelina così potrebbe essere coltivata in terreni marginali e con pochissima umidità. Ted Durfey, presidente della Natural Selection Farms di Washington è uno dei partner del progetto di sviluppo della Camelina nelle regioni delle Grandi Pianure. Durfey spiega che la società ha iniziato la coltivazione della Camelina nelle Grandi Pianure la scorsa primavera. “Il livello della sostenibilità della Camelina è innegabile. Le mie ragioni infatti per coinvolgere il maggior numero di coltivatori è quello di creare una maggiore sostenibilità locale attraverso la produzione di farine animali e di olio per biodiesel in modo da ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio.”
Il biodiesel della Camelina non solo aiuta l’economia locale ma grazie anche alla Great Plains ne aumenta la redditività per ettaro limitando la necessità delle forniture petrolifere. “Abbiamo solo graffiato la superficie del potenziale offerto dalla Camelina per produzione di biodiesel e speriamo che i coltivatori vedano presto i benefici di questa coltura e contribuire così alla fornitura di sementi.” spiega Sam Huttenbauer amministratore delegato dellaGreat Plains.
La società pioniera nella coltivazione e produzione di sementi su scala commerciale della Camelina, investendo da oltre 10 anni in tecnologie agronomiche per lo studio e lo sviluppo della Camelina e del suo rendimento in modo da elevare il contenuto di olio nella pianta.
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